Tutto il potere alle scienziate

di Flavia Zucco*


Lise Meitner


Forse sto per iniziare un'ennesima storia di bicchiere mezzo pieno e di bicchiere mezzo vuoto. Fatto sta, penso che per le donne di scienza la situazione stia migliorando. 0 meglio, che ci troviamo in un momento in cui, come spesso succede nella storia, le circostanze e le intenzioni si incontrano.

La scienza è profondamente cambiata nella seconda meta del secolo scorso: c'è addirittura chi paria di fine della fisica, della chimica ed ora anche della biologia. Il fatto è che queste discipline sono mutate, nelle loro pratiche, ma anche nei loro statuti: basti dire che molti, dall'interno della scienza stessa, parlano di una scienza post-accademica, che presenta connotati ben diversi da quelli descritti, nel secolo scorso, dal sociologo della scienza, Robert Merton. Per dirne uno fra tutti, spesso, nella ricerca scientifica, non ci si muove più da ipotesi per verificarne la veridicità o meno, ma si acquisiscono dati per cercare poi di interpretarli. L'esempio classico e stato il “Progetto menoma”.

E qui veniamo ad un secondo aspetto: la direzione della ricerca è segnata dalla fattibilità (non che questo non sia un criterio saggio) e non in linea prioritaria dalle idee, dal pensiero, dalla voglia e capacita di capire. Il criterio della fattibilità ci ha costretto ad affermare più volte che non tutto quello che è fattibile debba necessariamente essere fatto.

Qui è evidente il richiamo agli aspetti etici e di responsabilità dello scienziato. La fattibilità consacra la centralita della tecnica, con cui ormai la scienza viene confusa e la sua subalternità al mercato ad essa connessa. La società, ormai consapevole della pervasività ed invasività delle tecnologie, oscilla tra paure di imprevedibili esiti e richieste di impossibili certezze. Il disorientamento è accresciuto dal fatto che persino la ricerca di nuovi valori di riferimento viene affidata alla scienza, e la chiesa stessa non disdegna di fondarvi la sua etica, come abbiamo potuto verificare nel dibattito sulla legge 40.

In questo contesto, le donne di scienza rappresentano un patrimonio inestimabile: il problema è che esse stesse ne siano consapevoli, che lo siano le istituzioni ed il pubblico in generale. Lo affermo con cognizione di causa. II gruppo di donne da cui è nata l’associazione "Donne e Scienza" ha portato avanti dalla fine degli anni '80 una riflessione che ha messo a fuoco quelle qualità del soggetto femminile che possono, se esercitate anche nella scienza, darle proprio quei connotati che vengono richiesti. Non è una questione di geni, ma soprattutto di storia e di cultura, di vissuti articolati e complessi, che mai hanno perso la capacità di cogliere la vita nel suo insieme. Le donne scienziate stanno entrando, dalla seconda metà del secolo scorso, in maniera massiccia nelle discipline scientifiche; hanno più successo degli uomini, in termini di quantità e qualità dei risultati; portano la freschezza e la curiosità di coloro che sono state escluse da determinate esperienze, e soprattutto la voglia di cimentarsi col nuovo. Accanto a questo, non hanno perso quelle qualità legate ai ruoli tradizionali: la misura delle cose, il senso di responsabilità, la capacità di guidare gruppi complessi, l’interesse all'educazione e alla formazione, la capacita di comunicare e, cosa non irrilevante, di farsi capire.

Quale è l'ostacolo, dunque? La scienza è potere, come ebbe a dire Bacone, e il potere non si molla tanto facilmente. Le donne entrano nelle carriere scientifiche e poi scompaiono: gli apici delle carriere, gli organi decisionali, le dirigenze sono loro precluse. In sostanza, la nostra scienza è  decisa e governata dagli uomini. Per descrivere questa situazione si sono  coniate espressioni molto efficaci: il tetto di cristallo (contro cui battiamo la testa); il  pavimento di bitume (a cui rimaniamo  appiccicate coi piedi); le forbici (il grafico a  forbice che descrive come, anche quando  partiamo avvantaggiate nei numeri, siamo destinate a scomparire).

Ecco, per tornare al bicchiere mezzo pieno, trovo che nello scorso anno abbiamo usato meno queste espressioni, per discutere invece di come le istituzioni della ricerca dovrebbero funzionare, per dare spazio a quelle intelligenze e capacita che rivendicano la possibilità di esprimersi, sottraendole ai commerci politici delle  attuali gestioni. Abbiamo parlato di  definizione del merito e dell'eccellenza,  perché sia questo il criterio per abolire le  quote che fino ad oggi gli uomini si sono  riservate. Rivendichiamo e proponiamo  presenze di donne in sedi nazionali ed  internazionali.

 Tutto ciò è stato possibile grazie alla Commissione europea che, dal lontano 1985, ha promosso conferenze e steso documenti sul problema della presenza delle donne nella scienza. In essi, ha ripetutamente sottolineato che le discriminazioni (ormai documentate da solide statistiche) a cui le donne sono soggette nella scienza, vanno condannate non solo per una questione di giustizia, perché sono un vero sperpero per le  nazioni che investono in educazione delle  donne fino all'università per poi non  utilizzarle, ed una perdita di talenti che non  vengono messi in condizioni di esprimersi. La più recente iniziativa della   Commissione é stato il finanziamento della Piattaforma Europea di Donne e Scienza: essa ha sede a Bruxelles ed organizza la rete delle associazioni esistenti              nei vari stati membri (www.epws.org). Alla prima assemblea lo scorso ottobre erano presenti più di 80  network da 28 paesi diversi. Questa piattaforma offre una sede unica di confronto delle esperienze, di iniziative di  mobilitazione, di segnalazione di attività, di promozione delle donne scienziate nelle carriere pubbliche e nelle istituzioni. Lo strumento è potente, noi ci lavoriamo molto, e dunque le giovani abbiano fiducia.

Flavia Zucco è Presidente dell' "Associazione Donne e Scienza"

Da Queer, Il Manifesto, 31-12-2006